Sunday, November 29

Il Job

So, in honor of my new job (um, that I’ve had for three months) here is a post about that. I wrote it in Italian because a.) I’m bored and b.) that way no one can read my snarky and mean thoughts about my coworkers (whom I mostly love, but… you’ll see). Whoever has better Italian than me (so, most people, except hopefully anyone who might actually know my esteemed colleagues), do feel free to get all snarky in return and tell me how much my grammar/spelling/Italian-in-general sucks. I probably won’t get offended.

Oh, and also, I changed everyone’s names because it would be creepy if your daycare provider was all talking about your kid on the internet, right? I figure the names are different and it’s in a whole other language, so I’m good. So…

“Quindi, per oggi ti mettiamo con i bimbi da un anno a diciotto mesi. E’ una giornata piuttosto calma qua – sono solo in sette oggi.”

Entro con un gran sorriso e li guardo. Ce ne sono tre che urlano. Mamma mia.

Mezz’ora più tardi, li abbiamo dato da mangiare, sono coperta in tracce di purée di verdura e qualcosa che mi sembra banana (ma non ne sono completamente sicura), e ho già dimentacato i nomi di almeno due dei bimbi.

“Mi passi il biberon di Luca?” mi domanda l’altra ragazza.

Cavoli, ma qual’è, Luca? Doveva proprio sciegliere uno di quelli il cui nome ho dimenticato. Esito e la ragazza ci getta lo sguardo.

“Quello lì con la camicia azzurra che si sta arrampicando per salire sul tavolo. A proposito, me lo rimetti giù sulla sedia, per favore?” mi dice con calma assoluta. Vedendo il bimbo in piedi sulla sedia, il mio cuore si ferma un attimo prima di ripartire. Lo prendo, lo rimetto giù, e pesco il biberon da dov’è caduto sotto il tavolo in un lago di latte. (Spill-proof, my a**.)

“Fammi vedere quanto ne ha bevuto?” mi chiede la terza ragazza, piccola con i capelli sciolti e di un biondo sicuramente finto. Ha passato l’intero pasto descrivendo i problemi che ha con la sua manicure e comincio a sentirmi un pochino suicida. Le passo il biberon, vedendo che ci sono ancora una decina di millilitri. Non ne avrà bevuto molto. (Ogni giorno si deve scrivere quanto ha mangiato ogni bimbo per poi dirlo ai genitori.)

“Nove,” fa la ragazza. Alzo le sopraciglie.

“Davvero?” chiedo.

“Si, guarda – il latte sta lì, al nove,” e mi mostra la linea dove arriva il latte. Se potessi, alzarei ancora più alto le sopraciglie.

Ci metto dieci minuti a spiegarle che il latte che arriva al nove è ancora nel biberon, e quindi non nel stomaco del bimbo. Poi altri cinque minuti per aiutarla a fare la sostrazione (quindici meno nove). E dovrò stare otto ore al giorno con lei? Ecco, è deciso: mi voglio tagliare le vene col coltello di plastica che abbiamo usato per preparare i pezzi di carota (che sono finiti sulle ginocchie dei miei pantaloni).

Un’ora più tardi, abbiamo pulito tutto (e ce n’era da pulire, credetemi), incluso i bimbi (che guerra per pulirgli la faccia!), e sono tutti sdraiati sui materassini per dormire. Sono carinissimi, tutti addormentati, stringendo i loro animaletti di peluche, ricoperti da copertine con disegni di conigli e nuvole e chissà che altra roba. Tranne uno, un bimbo bellissimo con gli occhi scuri e le ciglia lunghissime a cui non interessa dormire per niente.

“Senti, io vado a pranzare – fallo dormire, il piccolo, e poi quando torno, ci vai tu, d’accordo?” mi fa l’altra ragazza (la bionda è sparita dopo pranzo e non mi dispiace).

“Si, certo,” dico con un tono poco certo.

“Ti aiuto, guarda,” mi dice, e solleva il bimbo per farlo sdraiare sul suo materassino, dove c’è già un cagnolino di peluche con le orecchie blu.

“Si, si, grazie,” dico. La guardo partire e poi guardo il bimbo. Lui mi sta già guardando, con gli occhi grandi apperti. Gli sorrido gentilmente.

“E adesso dormiamo un po’, no? Andiamo a nanna!”

Cinque minuti più tardi...

“Dai, forza, chiudi gli occhi...” gli passo la mano sulle spalle ancora una volta, ma non mi ricordo neanche del suo nome per supplicarlo di chiudere gli occhi. Ma come ***** si fa a fargli addormentarsi, ‘sti bimbi? L’unica cosa che mi viene in mente è di tenergli chiusi gli occhi con le dita ma secondo me non è proprio consiglatio... Gli passo la mano ancora una volta sulle spalle, accelerando il ritmo disperatamente. Comincio a sudare un po’.

“Si chiama Alessandro.” Di colpo, sento una voce che mi parla dall’altra parte del muro basso che divide questa classe da quella dei bimbi ancora più piccoli. È la loro maestra; l’ho conosciuta in fretta stamattina. “E si addormenta se gli carezzi il viso.” Ah. Già.

La ringrazio con entusiasmo e comincio ad accarezzargli la fronte. Il piccolo comincia a respirare più lentamente e due minuti più tardi dorme. In fondo in fondo, è anche carino...

“E quindi prima di venire qua vivevi in Italia?” mi domanda una delle altre maestre qualche ora più tardi, quando ci incontriamo con le altri classi nel parco. Annuisco.

“E dove in Italia?” Sto pensando se spiegargli in quale regione o se dire direttamente “il nord” per accorciare un po’ la discussione quando la ragazza parla di nuove e interrompe il mio pensiero.

“L’Italia è quel paese dove gli uomini portano le gonne, giusto?”

Ci metto un attimino a seguire il filo dei suoi pensieri per arrivarne lì. Intanto, gli risponde qualcun’altro.

“No, quello è l’Irlanda.” Non alzare le sopraciglie. Non alzare le sopraciglie! mi ripetto silenziosamente qualche volta. Devi fare amicizia con queste ragazze!

“No, secondo me, è la Scozia, no? Dove gli uomini portano le kilts?” suggerisco finalmente. Le ragazze ci pensano un attimo.

“Ah, si, può darsi...”

“È vero!” esclama una terza, “No, ragazze, l’Italia è il paese con la pizza, no? Tipo Domino’s!”* Mi guardano tutte, aspettando conferma.

“Eh... si. Più o meno.”

“Avrai mangiato della pizza buonissima lì, no?” Mi chiede la prima mentre aggiusta il capello di uno dei bimbi. Annuisco di nuovo.

“Non potresti neanche immaginare...” dico quasi sottovoce, ripensandoci. Quella pizzeria all’angolo dietro quella strada con i portici... la rucola (a proposito, perchè non si trova per niente in America, la rucola?)... sigh. Ma che ***** faccio qua, con purée dappertutto e bimbi che urlano? Due mesi fa mi mettevo i tacchi e le gonne per insegnare nelle ditte!

Intanto è già ora di tornare nell’aula per la merenda (così diversa dalla merenda dei bimbi Italiani – niente gnocco qua!). Comincio a raccogliere i nostri piccolini e dirigerli verso la porta. Sto sudando di nuovo. Cavoli, ma chi lo sapeva che ci si voleva tanto sforzo per lavorare coi bimbi?

Di colpo, si sente il rumore del tagliaerba e uno dei bimbi della mia classe si attacca alle mie gambe, urlando. Lo prendo in braccio; “ma non e’ niente, guarda,” gli dico, mostrandogli il tagliaerba col dito. Lui si afferra al mio collo e si pianta la faccia nella mia spalla. Mi scappa un piccolo sorriso e lo stringo un po’ anch’io. La sua dipendenza totale su di noi è anche un po’ commovente, alla fine, e decido che forse si può essere contenti in qualsiasi posto... anche senza rucola.

*Una catena di pizzerie decisamente mediocre nel stilo Americano.

Saturday, November 28

I can't think of a title

I'm back! (From nowhere in particular.) Interestingly (or not so) I have almost nothing interesting to report, despite a month-long absence. High points of excitement in my life the past month include:

1. The school Halloween parade. This consisted of my esteemed colleagues and I manhandling twelve toddlers into awkward costumes, cooing over them, taking pictures of them screaming and/or merely pouting miserably (the costumes, you see), and then hauling them outside for a few circuits around the parking lot. Mine were all too young and disturbed by the proceedings to walk, so we carried them, and it turns out they're heavier than you'd think. Except one brave soul, aptly dressed as superman, who did want to walk. Specifically, he wanted to walk into oncoming traffic. Fun. (For the record, I did not let him. Yes. I am a good daycare employee.)

2. Dealing with various ills that befall children between the ages of 12 and 18 months: rashes, innumerable bumps on heads, bee stings, choking (not fun for anyone), and fevers that soar up above 104 degrees. The effect of said fevers is, oddly enough, different on everyone. My heart kind of ceases to beat while the thermometer beeps its way up past 103 and 104, and the children merely wiggle a little and glare at me reproachfully. Strange. I have a feeling being a parent is a worrisome sort of job.

3. The school's Thanksgiving Feast. Hilarity all around. You know why? Do you have acces to a toddler? If so, give him/her a pile of stuffing, some shredded corn bread (to prevent choking, see), a clump of mashed potatoes, and no utensils (because they don't know how to use them) and see what happens. Yes. I'll leave it to your imagination. But it was just as unfortunate as you'd think, and then some.

4. One solitary medical school interview. It transpired my interviewer went to the same undergrad institution as I did, and knew some of the same people in the linguistics department. We chatted amiably about linguistics. She probably ended up thinking I'd be better suited to a career in linguistics than medicine. She may have a point. In other news... public service announcement: medical schools, here's the deal: either interview me or reject me. I'm not even especially picky about which at this point. But I'm getting bored with sitting here waiting for you to make a decision. The end.

5. The leaves all fell off the trees. That was kind of depressing. Today it is sunny though windy, so that's kind of okay, but I strongly dislike the gray parts of the winter. Sigh.

6. I attended a yoga class. This was funny because at the end the instructor must have felt that she should flatter the new girl to make her come back, because she was all "well, you must exercise a lot, right? Take really good care of your body? Because it shows." And I was all, "um... well, I generally shower standing up... and that's about it." I didn't say that, though. Probably no need to discuss showering habits with random strangers, Slavic-accented yoga people or otherwise.

7. I watched a movie in Italian ("Il Giardino dei Finzi-Contini") and felt cultured as a result. Also I understood it all. Which is actually not very impressive because I've already read the book. But whatever. Culturedness. It is good.

Yeah, I think that might be about it. How pedestrian. But sometimes that's okay. In a relaxing, brain half-asleep kind of way. A good weekend to all.